9 maggio, la notte di Moro e Impastato

Dopo quarant’anni ancora uniti dalla passione per la verità e la giustizia

L’hanno chiamata La notte della Repubblica, quella sera del 9 maggio del 1978. Notizie prima frammentarie poi sempre più precise raccontavano del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro nel bagagliaio di una Renault 4 in via Caetani a Roma. Il presidente della Democrazia Cristiana era stato ucciso dalle Brigate Rosse dopo cinquantacinque giorni di prigionia.

Quella stessa notte un’altra notizia arrivava nelle redazioni dei giornali locali per poi rimbalzare fino alle brevi del tg nazionale: a Cinisi, in provincia di Palermo, sui binari della ferrovia era morto il giornalista Peppino Impastato, dilaniato dall’esplosione di una bomba che lui stesso avrebbe piazzato in un fallimentare tentativo di attentato. In realtà anche lui ucciso, non dai brigatisti ma dai sicari mafiosi del boss Gaetano Badalamenti, tante volte denunciato proprio da Peppino Impastato dai microfoni della sua Radio Aut, il “giornale di controinformazione radiodiffuso”.

Due storie e due uomini, Aldo Moro e Peppino Impastato, apparentemente lontani ma accomunati dalla fine tragica e dalla passione per la verità e la giustizia. Due esempi di moralità e senso civico che l’Amministrazione comunale di Rivalta vuole ricordare a quarant’anni dalla scomparsa, per mantenere vivo il loro insegnamento e la loro coerenza di ideali.

«La mafia uccide e il silenzio pure» ha detto Peppino Impastato: una frase e un insegnamento quanto mai attuale e vivo, nonostante sia passata ormai una generazione da quel 9 maggio del 1978. La mafia, in tutte le sue forme, continua a intimidire, minacciare e uccidere. Una ragione in più per non tacere e denunciare. Una ragione in più per cercare sempre la verità dietro l’apparenza e non dimenticare chi, come Impastato, ha rischiato e pagato in prima persona per  gli ideali di giustizia e legalità.

Quegli stessi ideali che in un contesto diverso anche Aldo Moro aveva fatto suoi. «La verità è sempre illuminante» era solito dire lo statista, quella verità che ancora non appare così limpida e trasparente appena si prova a capire perché Moro fu rapito e chi davvero volle il rapimento prima e l’omicidio poi. E a chi quella morte giovò.

Al di là della verità processuale, di chi ha pagato e sta pagando per gli omicidi di Aldo Moro e Peppino Impastato, quarant’anni dopo quella notte, la Repubblica ha oggi il dovere di non dimenticare e fare propri gli insegnamenti di due uomini che il destino ha accomunato per gli ideali e per la tragica fine in un lontano giorno del 1978.

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